La sindrome del nido vuoto

Qual è l’età in cui i nostri giovani, i ragazzi italiani, lasciano la loro casa d’origine, il loro “nido”, per spiccare il volo? C’è una differenza rispetto ad altri paesi europei relativa all’età in cui si diventa autonomi e indipendenti nel nostro paese?

Dagli studi degli ultimi anni risulta di sì! Un’indagine Eurostat rivela che l’età media in Italia si aggira intorno ai 30 anni mentre nei paesi nordici, come Svezia, Finlandia e Danimarca è intorno ai 20.
Questo fenomeno di “adolescenza prolungata” (forse un po’ troppo!) ha diverse concause: è dato, cioè, da un insieme di fattori che riguardano variabili sociali, culturali, economiche e psicologiche.
Oltre all’importanza di interrogarsi sui motivi di tale situazione risulta altrettanto fondamentale fare un pensiero rispetto alle conseguenze che ciò comporta sull’ambiente familiare d’origine, una fra tutte: la sindrome del nido vuoto.
In che cosa consiste questa sindrome? Si tratta della situazione emotiva in cui si trovano i genitori (o i nonni o la famiglia affidataria/adottiva) una volta che, per i giovani adulti di cui ci si è presi cura, è giunto il momento di emanciparsi, di andare a vivere fuori di casa.

Sebbene, infatti, il percorso psico-evolutivo preveda la tappa fisiologica in cui i figli intraprendono una vita autonoma, gran parte degli adulti vive tutto questo con sentimenti di malessere.
Nello specifico si tratta di uno stato emotivo in cui prevale tristezza e si sperimenta una sorta di lutto: il lutto del distacco.
Questa sindrome può essere vissuta da entrambe le figure genitoriali o solo da una delle due e, in tal caso, solitamente dalla persona che ha dedicato più tempo, energie e risorse all’accudimento dei figli (spesso ciò coincide con colui/colei che non lavora).
La prevalenza di questo abbassamento del tono dell’umore si riscontra soprattutto nelle donne. Spesso sono persone che hanno subordinato i propri bisogni individuali e i propri interessi al prendersi cura, in modo totalizzante, della loro prole. Donne che hanno fatto del ruolo di madre la loro intera identità.

La mancata coltivazione, nell’arco degli anni, degli altri ruoli (sociale, amicale, amoroso, fraterno, professionale…) implica una maggiore difficoltà a riconoscere l’identità dei figli come separata dalla propria, a riconoscere il loro essere divenuti adulti, indipendenti, ovvero aver completato il processo di individuazione, di divenire altro da sé.
Oltre ad una tristezza pervasiva questo genitore sperimenta anche un forte senso di abbandono e solitudine e la difficoltà di trovare un nuovo senso alla propria vita, ossia ripensare e ricostruire la propria identità.
In alcuni casi la sindrome del nido vuoto è caratterizzata anche da alcuni disturbi d’ansia, dell’umore o psicosomatici. Questo malessere psicofisico aumenta se, nel tempo, non si è coltivata la relazione di coppia e se la persona in questione soffre di una bassa autostima.
Tale fenomeno non rientra nelle categorie diagnostiche, non è dunque una patologia psichica però, laddove questo stato psicologico dovesse perdurare per più di tre mesi consigliamo di contattare un professionista.

Dunque, cosa fare per prevenire questa sindrome oramai così frequente?
Partendo dal presupposto che “il mestiere dei genitori è il lavoro più difficile che ci sia” le due linee guida da tenere in mente durante il percorso di crescita di un figlio sono: sviluppare i differenti ruoli che compongono l’identità ed avere in testa che se “il piccolo” ha l’esigenza di lasciare il nido significa che si è fatto un ottimo lavoro come genitori!
Il compito educativo-parentale è permettere al figlio di spiccare il volo con le proprie ali!

In collaborazione con la dottoressa Sara Mollame

 

 

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