MUSICA ED EMOZIONI: Tra strutture di significato, generi musicali, strategie di regolazione affettiva e stereotipi culturali

 

MUSICA ED EMOZIONI:
Tra strutture di significato, generi musicali, strategie di regolazione affettiva e stereotipi culturali.
(di Giorgia Zanlorenzi)

 

Il rapporto e la relazione tra musica ed emozioni interessa diverse discipline da molto tempo ormai. Nell’ultimo decennio, questo campo di ricerca è cresciuto rapidamente, è diventato sempre più popolare e di interesse interdisciplinare, riunendo argomenti legati alla cognizione musicale, alla psicologia e alle neuroscienze.
La musica ha indubbiamente la capacità di trasmettere potenti emozioni in chi l’ascolta. Descrivere tale processo, però, è complesso, in quanto legato ad aspetti come la percezione o l’induzione emotiva, i diversi costrutti teorici sulle emozioni, la personalità degli ascoltatori, e così via.
Una di queste difficoltà riguarda la possibilità che una determinata emozione espressa dalla musica sia effettivamente indotta nell’ascoltatore. A volte l’emozione indotta equivale a quella percepita, ma non sempre è così (Earola, 2011). Perché esistono queste differenze? Come mai ad alcune persone una canzone rilassa e ad altre innervosisce?

Per poter rispondere a questa domanda è di primaria importanza definire la natura stessa delle emozioni. Va detto che, sebbene ampiamente presente nella letteratura psicologica, questo tema è stato affrontato con approcci molto diversi; si possono, però, individuare punti fermi condivisi dalla maggior parte degli studiosi (Varani, 2000).

Prima di tutto possiamo dire che, la risposta emozionale, è caratterizzata da un’attivazione fisiologica, cambiamenti motivazionali ed espressivo-comportamentali, componenti cognitive, ed infine vissuto soggettivo.

Secondo la teoria cognitiva delle emozioni di Schanchter, si ha un’emozione quando viene applicata una particolare etichetta ad una generica attivazione fisiologica nell’individuo. L’etichetta che viene applicata dipende dalle esperienze passate, dalla situazione e dalle reazioni degli altri (Coon & Mitterer, 2016). Ecco perché di fronte ad una medesima situazione, per esempio un’immagine violenta (o nel nostro caso una determinata canzone), una persona prova orrore e disgusto, un’altra invece curiosità o interesse. Davanti ad uno stimolo entra quindi in gioco la componente cognitiva con gli script, i frame, i concetti, le reti semantiche, le categorizzazioni e i processi euristici innescati dalle esperienze passate che ciascuno di noi porta con sé nel proprio bagaglio personale (Varani, 2000).

Secondo le teorie dell’appraisal, infatti, molti degli stimoli che provengono dall’ambiente esterno non sono di per sé piacevoli o spiacevoli, ma vengono valutati piacevoli o spiacevoli a seconda della disposizione individuale. Esiste quindi una struttura di significato delle emozioni, ovvero un’attribuzione di senso ad un evento che, in virtù di tale struttura, potrà produrre risposte emozionali diverse (Coon & Mitterer, 2016).

Data questa breve cornice teorica al concetto di emozione, capiamo che comprenderne la relazione con la musica non è un processo semplice.
Secondo Gabrielssom e Lindstrom (2010), tra tutte le caratteristiche musicali che influenzano le emozioni degli ascoltatori studiate fino ad oggi, le più potenti risultano essere il tempo, la dinamica, il timbro, il fraseggio e la modalità (maggiore o minore) all’interno di una canzone.
Per esempio, la felicità è spesso espressa da un tempo più veloce, intervalli di intonazione più elevati ed una modalità maggiore piuttosto che minore, l’opposto avviene per la tristezza.
In un certo senso, infatti, si può affermare che alcune caratteristiche musicali suonano come la voce umana emozionata. Un suono acuto, brillante e scandito è tendenzialmente percepito come una voce gioiosa, mentre un suono dissonante e instabile tende a essere percepito come manifestazione vocale di angoscia (Meini, 2015).
Molte domande comunque restano aperte, per esempio: l’emozione è primariamente nella musica o nell’ascoltatore? In che modo potrebbe essere nella musica? E come possono i diversi generi musicali influenzare le emozioni dell’ascoltatore (Meini, 2015)?

Una possibile risposta può essere quella di Susanne Langer, secondo la quale la musica conterrebbe forme «isomorfe» ai modelli dinamici dei sentimenti umani. Secondo il suo pensiero la musica riprodurrebbe la fenomenologia della nostra vita emotiva, come un suo corrispettivo sonoro, capace di articolare forme che il linguaggio non può esprimere (1959, 233).

In ogni caso, le modalità attraverso cui la musica e le emozioni si influenzano restano in parte velate: “Ascolto musica triste perché sono triste o sono triste perché ascolto musica triste?” Questa banale quanto complessa domanda ci porta ad un altro importante tema da trattare: la ricerca afferma che la musica è non solo in grado di suscitare emozioni, ma è frequentemente utilizzata dalle persone per regolare i propri stati affettivi (Cook, Roy & Welker, 2019). La regolazione affettiva attraverso la musica è uno degli aspetti più interessanti nella relazione che la musica ha con le emozioni, ed inoltre interessa un’importante branchia dei trattamenti psicologici: la musicoterapia.
Se parliamo di regolazione affettiva attraverso la musica, a mio parere, non può essere tralasciata una profonda analisi delle diverse sfaccettature/generi musicali, tuttavia, pochi studi indagano quali tipi di musica possano meglio regolare le emozioni degli ascoltatori.

La scelta dei generi musicali dipende non solo dalle diverse strategie di regolazione affettiva che le persone adottano, ma anche da alcune componenti legate alla personalità dell’ascoltatore o dalle sue motivazioni. Vuoskoski e Thompson (2012), ad esempio, hanno scoperto che molte persone apprezzano l’ascolto di musica “triste” tanto quanto di musica “allegra”, specialmente quando ricevono un punteggio elevato nel tratto “openness to experience”, legato all’apprezzamento estetico. Inoltre, musica tendenzialmente considerata “aggressiva” o che suscita rabbia, viene spesso apprezzata ed utilizzata per aumentare l’eccitazione prima di una competizione sportiva.
Le persone, inoltre, potrebbero voler utilizzare la musica per regolare le loro emozioni in modi diversi. Ad esempio, alcuni potrebbero voler aumentare l’emotività positiva, altri invece potrebbero voler aumentare le emozioni negative (come per esempio tristezza o rabbia) al fine di raggiungere un certo obiettivo o come forma di abreazione. Persone diverse potrebbero inoltre voler diminuire o aumentare l’intensità e l’eccitazione emotiva (Cook, Roy & Welker, 2019).

Lo studio di Cook, Roy e Welker (2019), dimostra che la musica rap/hip-hop, elettronica/dance, e soul/funk, si associa positivamente all’aumento dell’eccitazione.
In particolare, il genere soul/funk è associato alla gestione (regolazione) dell’umore sia negativo (down-regulation: diminuzione) che positivo (up-regulation: aumento). Il rap/hip-hop e la musica elettronica/dance, invece, si associa solo all’aumento di emozioni positive.

Per quanto riguarda il genere soul e blues, invece, si nota un’associazione sia con la regolazione di emozioni positive sia con la regolazione di quelle negative, ma nessun aumento dell’eccitazione. Lo stesso vale per la musica classica che, però, non viene associata ad un aumento di emozioni positive, ma solo ad una diminuzione di quelle negative.
Aldilà dei singoli gusti personali e delle diverse strategie di regolazione emotiva, non possiamo dimenticarci della componente culturale.
A tal proposito, Meini (2015) spiega come nella musica occidentale per molto tempo solo l’accordo maggiore abbia costituito una risoluzione lecita nel finale di una canzone. L’accordo minore, e ancor di più quello diminuito, non potevano concludere un brano, in quanto lasciavano l’ascoltatore vagare in territori troppo lontani, con inquietudine (accordo diminuito) o nostalgica malinconia (accordo minore). Anche se è piuttosto intuitivo in che senso un brano ancor oggi possa essere percepito non concluso e sospeso nel caso dell’accordo diminuito, resta da capire perché un accordo minore, che per l’ascoltatore contemporaneo può ben essere conclusivo, dovrebbe essere percepito con quella tipica nota di malinconia, nostalgia e tristezza, che ancora oggi gli viene associata. Più che percepire, si direbbe che ci sia stato insegnato ad associare un accordo a un’emozione.

Inoltre c’è da chiedersi: “L’etichetta emotiva associata ad un genere musicale dipende dagli indizi psico-acustici che caratterizzano quella specifica musica, o poggia le basi nell’emozione stereotipata della cultura a cui tale musica è associata?”
Susino e Schubert (2017), spiegano come le emozioni percepite attraverso la musica possono essere stereotipate: alcuni generi musicali possono essere spontaneamente associati a piccoli set di emozioni direttamente influenzate dagli stereotipi culturali che caratterizzano determinati generi. Per esempio, nella cultura Giapponese la rabbia viene meno frequentemente espressa rispetto alla cultura Nord Americana, di conseguenza la musica tradizionale Giapponese viene più spesso associata ad emozioni come la calma e la tranquillità, piuttosto che all’irrequietezza o all’aggressività.

Nello studio di Susino e Schubert del 2019, viene inoltre spiegato come i generi musicali a bassa famigliarità per l’ascoltatore produrrebbero maggiori risposte emotive stereotipate.
La percezione emotiva della musica dipende quindi da segnali psicofisiologici e culturalmente specifici. L’abbinamento di specifiche emozioni a specifici generi musicali da parte di ascoltatori meno famigliari a quel genere può essere quindi spiegato dall’attivazione di un filtro stereotipato.

Penso sia di enorme importanza tenere conto di tutti questi aspetti, non solo per futuri studi cross-culturali sulla musica, ma anche per lo studio generale delle emozioni. Infatti, date le seguenti implicazioni, sia nello studio della relazione tra emozioni e musica sia nella musicoterapia, trovo necessario tenere in considerazione le diverse strutture di significato con cui le persone interpretano emotivamente la musica ed i diversi generi musicali, le diverse caratteristiche di personalità degli ascoltatori, le differenti strategie di regolazione affettiva che voglio utilizzare e gli aspetti culturali e stereotipici influenzanti.

 

Per rendere più chiaro al lettore i costrutti citati in questo articolo, di seguito riporto un breve schema delle definizioni e delle parole chiave:

 

BIBLIOGRAFIA

Cook, T., Roy, A. R., & Welker, K. M. (2019). Music as an emotion regulation strategy: An examination of genres of music and their roles in emotion regulation. Psychology of Music47(1), 144-154.

Coon, D., & Mitterer, J. O. (2016). Psicologia generale. UTET università.

Eerola, T. (2011). Are the emotions expressed in music genre-specific? An audio-based evaluation of datasets spanning classical, film, pop and mixed genres. Journal of New Music Research40(4), 349-366.

Gabrielsson, A., & Lindstro¨m, E. (2010). The influence of musical structure on emotional expression. In P.N. Juslin & J.A. Sloboda (Eds.), Handbook of Music and Emotion: Theory, Research and Applications (pp. 223–248). New York: Oxford University Press.

Langer, S.K. (1959). Philosophy in a new key. New York: Mentor Books.

Meini, C. 2015. Musica, emozioni e scienze cognitive. Con qualche ambizione terapeutica. Sistemi intelligenti27(2), 373-398.

Susino, M., & Schubert, E. (2017). Cross-cultural anger communication in music: Towards a stereotype theory of emotion in music. Musicae Scientiae21(1), 60-74.

Susino, M., & Schubert, E. (2019). Cultural stereotyping of emotional responses to music genre. Psychology of Music47(3), 342-357.

Varani, A. (2000). Emozioni, apprendimento e ipermedialità. Psicologia e scuola98, 3-11.

Vuoskoski, J. K., & Thompson, W. F. (2012). Who enjoys listening to sad music and why? Music Perception, 29(3), 311–317. doi:10.1525/mp.2012.29.3.311

 

 

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