Depressione: l’altra faccia della medaglia

Stai tagliando uno sfilatino per farti un bel panino col salame. Oppure, se sei un abitante del pianeta Vega, con qualche altro ingrediente coltivato biologicamente a quelle latitudini. Per sbaglio ti tagli un dito. Immediatamente dalla ferita parte un messaggio che arriva al cervello e dice: “Ricostruire, cicatrizzare”. Il corpo quando subisce un danno esegue senza discutere. La mente quando vive un trauma lo mette in discussione, cercando colpe, responsabilità, “se” e “ma”. A tutti nella vita è capitato di ricevere degli “schiaffi”, di patire dei dolori, di sopportare delle ingiustizie… L’errore che facciamo è quello di dire “No, questa cosa non doveva succedere” anche se è già successa. A volte ci arrabbiamo perfino col tempo, ieri è piovuto e non lo accettiamo anche se è un dato di fatto incontrovertibile. Rispetto alle vicissitudini sinistre che ci capitano abbiamo comportamenti e pensieri di sottomissione o ci arrabbiamo. Tutto ciò fa sì che rimaniamo ancorati a un passato che non esiste più. Ricorda che rabbia e delusione sono acidi che fanno più danno al vaso che li contiene che alle superfici sulle quali vengono versate.

La vita è come un film a puntate quotidiane, ma la nostra televisione mentale continua a mandare in onda sempre i medesimi episodi trascorsi. Se diciamo sì a tutto ciò che anche di sgradevole è accaduto, “cambiamo canale”. Un po’alla volta accettando, troviamo nuove interpretazioni che ci danno spunti per acquisire insegnamenti utili per il presente.
Quando siamo giù di corda, col morale sotto i piedi o depressi perdiamo il contatto coi nostri desideri e la bassa frequenza della nostra energia vitale non è sintonizzata con l’alta frequenza dell’energia spirituale. Per allinearci a questa dimensione può essere utile la strategia del “come se”. Chiediti e riscopri i tuoi desideri, verifica se sono in linea con l’istanza della creatività, dell’amore, della benevolenza, della bellezza, della gratuità e dell’accoglienza e cerca di vivere come se fossero già realizzati. Fai però attenzione che non siano solamente a servizio del tuo ego o della tua gloria, altrimenti la Vita ti remerà contro.
Ora riporto un esempio reale di strategia che inizia dalla fine. Nel racconto noterai che il protagonista ha agito come se il suo desiderio fosse già concretizzato. Ricordo che il termine desiderio deriva dal latino de-siderum cioè guardare alle stelle e diversamente dal bisogno non soddisfa una mancanza ma è un’offerta di sé, del proprio entusiasmo, della propria meraviglia e delle proprie energie al bene comune. Pino Dellasega, maestro di sci e discipline montane, aveva in cuore la volontà di portare sopra una vetta la statua di un Cristo. Poiché incontrava innumerevoli resistenze ha prima tracciato e diffuso la mappa e la notizia dell’avvenuta installazione. Siccome ciò non corrispondeva al vero la gente che cercava il sentiero e la scultura ha cominciato a interrogarsi e a lamentarsi. Questo malcontento ha mosso forze che hanno permesso il verificarsi della sua intenzione. Di seguito riporto il racconto in prima persona del protagonista.

Il Cristo pensante nasce da una mia idea giunta all’improvviso nell’agosto del 2008  in Val Venegia, quando durante una camminata di nordic walking, prima ho incontrato sei frati francescani che in tono gioioso scendevano dal Rifugio Mulaz, poi, sotto le pareti strapiombanti delle Pale di San Martino, un musulmano che pregava rivolto verso la Mecca. Quell’immagine ha scatenato in me la volontà di realizzare qualcosa per incentivare i giovani a riscoprire la montagna.

Ma non è così facile attirarli. La sera, dopo la consueta doccia, il mio sguardo finì su una statuina in legno del Cristo Pensante che avevo acquistato circa 30 anni prima in Polonia; un simbolo di tradizioni contadine che negli anni ’80 era diventato un’immagine anticomunista di Solidarnosh. Il giorno dopo mi ritrovai a far le prove sul Monte Castellazzo a Passo Rolle, piccola montagna posta davanti alle pale di San Martino, salita e guardata da pochi. Non ci ero mai andato e ancora oggi non capisco perché ho voluto metterlo lassù, nel Primiero, io che sono della Valle di Fiemme.

Il trekking del Cristo pensante ha avuto in seguito il grande appoggio delle Aziende per il Turismo della Valle di Fiemme e del Primiero, del Parco Naturale di Paneveggio e Pale di San Martino e della Provincia Autonoma di Trento, ma la strada per farlo arrivare lassù è stata tutt’altro che facile. Il Cristo a distanza di duemila anni dà ancora molto fastidio.

Ho iniziato a mettere in atto una serie di strategie cercando di coinvolgere più persone possibili, sono riuscito a costituire una grande squadra e a coinvolgere tanta brava gente.
La mia forza di volontà e testardaggine hanno avuto la meglio e così il 16 giugno 2009 il Cristo pensante finalmente è atterrato sulla cima del Castellazzo a quota 2333 metri, trasportato dal grande elicottero a doppia pala, il Chinook dell’Esercito Italiano.
La statua è stato scolpita da Paolo Lauton di Predazzo ed è di marmo bianco con striature di antracite che quando piove la fanno diventare quasi nera. Alla base, in una targa, sono scolpite le parole di Madre Teresa di Calcutta “Trova il tempo di pensare, trova il tempo di pregare, trova il tempo di sorridere”.

La corona di spine posta sulla testa è stata da me confezionata con filo spinato della prima guerra mondiale raccolto lungo i ghiaioni del Castellazzo e parte proveniente da Malga Valazza al Passo del Valle.
A fianco del Cristo pensante è posizionata la grande croce di ferro, il cortèn, Volutamente ho lasciato su di essa i tre chiodi dove Gesù è stato appeso a testimoniare che il Cristo pensante prima è stato crocifisso e poi, dopo duemila anni, è sceso ed è in atteggiamento pensieroso sul da farsi …
Nel manufatto sono poste due cassette: una in basso contenente il libro di vetta e una appena sopra chiusa che riceve i pensieri dei pellegrini.
A qualche anno di distanza sono arrivate migliaia di persone, di fedi diverse e tutte si sono portate a casa qualche cosa di buono.

Pino Dellasega ha scritto il libro “Il Cristo pensante delle Dolomiti” dove racconta tutta la storia di questa straordinaria avventura. Le parole conclusive riassumono la soddisfazione per aver realizzato questo progetto: “Se sei convinto e ci credi, se non ti arrendi e perseveri, se quando ti fanno cadere sai rialzarti, allora anche i sogni si avverano”. 

Oltre alla strategia dell’iniziare dalla fine, per risollevarsi dalle insidie della depressione, è utile attuare la “tecnologia del perdono”. Ma se vuoi continuare a dare ascolto al tuo orgoglio sappi che, come cantava Vasco Rossi, ha fatto più danni lui del petrolio. Ci hanno insegnato che bisogna perdonare per essere buoni. Tale versione moralistica non spiega bene l’efficacia “egoistica” di questa disposizione d’animo. Perdonare significa innanzitutto lasciare andare il passato, rompere il legame coi danni subiti, cambiare canale della nostra televisione mentale. Non è un’operazione facile ma l’unica possibile per far sì che il male ricevuto non propaghi i suoi effetti nel presente.
Siccome oltre a riceverli i danni li facciamo è necessario, affinché questa tecnologia sia efficace, anche chiedere perdono alla vita, alla Natura, alle persone.

Se la catena della colpa commessa o subita ti attanaglia, usa il perdono come tenaglia! Quando chiedi perdono liberi un prigioniero per poi accorgerti che eri tu, quando concedi perdono diventi più forte e fai evolvere il tuo interlocutore perché ci vuole più forza d’animo per dimenticare che per ricordare.

Un’altro stratagemma indispensabile per alzare la nostra energia vitale consiste nel sostituire i giudizi negativi che facciamo su noi stessi con altrettanti pensieri positivi. Prendi consapevolezza del flusso di idee brutte che ti autoinfliggi durante la giornata e modificalo in senso benefico. Fai attenzione alla generalizzazione imparando a osservare i tuoi singoli comportamenti e pensieri nelle specifiche situazioni piuttosto che il tuo carattere o personalità.

 

 

 

 

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