Non è errato pensare che i giovani abbiano “il mondo in mano”: quello che va sottolineato è che, in realtà, questa potenzialità non risiede solo in loro. Tutti noi, infatti, quando nasciamo, entriamo in contatto con l’esterno attraverso l’organo più esteso del nostro intero organismo: la pelle.
L’importanza delle carezza per relazioni più empatiche
Questo confine, che ci contiene e separa la nostra identità da ciò che ci circonda, è lo stesso che ci permetteva di entrare in connessione con le pareti dell’essere umano da cui proveniamo, la madre.
Il contatto, perciò, è allo stesso tempo unione tra identità differenti e connessione tra queste, sin dalla gestazione: chiunque può dire di “avere il mondo in mano”, perché proprio nelle mani è contenuto il potere della carezza e questa costituisce una delle più potenti ed efficaci forme di interazione positiva ed empatica tra esseri viventi.
Non solo: la pelle, la cui importanza è sottolineata dal fatto di essere definita organo e non tessuto, nel corso dell’evoluzione non ha subìto modificazioni in termini di recettività, né ha ridotto le funzionalità della propria struttura, come invece è accaduto ad altri elementi dell’organismo non più necessari, ad esempio la fitta peluria.
Da ciò, come dagli studi sull’attaccamento e da recenti ricerche in ambito di benessere inteso come coerenza olistica dell’intero sistema “uomo”, è possibile dedurre come il nostro modo di relazionarci con il mondo e con le informazioni che da esso assimiliamo e facciamo nostre dipendano fortemente dal contatto, in primis fisico, con l’ambiente.
Il sistema nervoso è l’unico insieme di componenti oltre alla pelle che si estende in tutto il nostro corpo: va da sé quanto queste due strutture siano estremamente connesse nella trasmissione ed elaborazione di informazioni.
Un buon contatto viene inteso come la capacità di riconnettersi con se stessi al fine di attribuire un’intenzionalità positiva al nostro modo di dare e ricevere gesti affettivi: come un radar, la pelle riconosce ed assimila i tipi di tocco piacevoli, che raggiungono i centri del sistema nervoso ad una velocità molto superiore rispetto alle informazioni negative o di dolore, contribuendo a ridurre queste ultime.
Di conseguenza, un abbraccio, considerato come tocco contenitivo e di protezione, o una carezza, intesa come sfregamento delicato, sono gesti necessari alla sincronizzazione dell’esperienza tattile con l’attività dei nostri neuroni. Possono contribuire a placare sensazioni spiacevoli perché, rispetto a queste, raggiungono in minor tempo il sistema di elaborazione centrale del nostro organismo.
Per la precisione, esistono delle fibre nervose specializzate per la percezione delle carezze: esse appartengono al “sistema del piacere”, i cui segnali raggiungono il cervello in un tempo minore rispetto alle fibre connesse con i centri del dolore.
La fisicità e la percezione della nostra corporeità costituiscono gli strumenti di centratura nel presente più efficaci di cui disponiamo: la razionalità, e dunque i centri corticali e superficiali del cervello adibiti all’elaborazione cognitiva delle conoscenze, è ben meno ancestrale e a minor impatto rispetto ai centri più profondi, i quali hanno il compito di registrare le informazioni istintuali e corporee di cui l’organismo fa esperienza.
Essa è ciò che permette di rallentare l’attività razionale incessante dei nostri circuiti cerebrali, in modo da riattivare l’uso consapevole e sentito dei nostri centri più primitivi ed interni, ai quali sono legate le sensazioni emozionali e i vissuti viscerali.
La scienza dimostra che l’essere umano è un’unità psico-fisico-affettiva: per questo, risente della scissione operata dalle tradizioni culturali tramandate che dissociano il sentire dall’agire. Nella nostra stessa quotidianità, ci accorgiamo di separare il fare dal percepire, quando in realtà ciò che succede nel corpo riflette ciò che accade nella mente e viceversa.
L’affettività contribuisce al mantenimento dell’equilibrio tra le due parti, per questo andrebbe supportata e correttamente appresa, cioè conosciuta e trasmessa in modo da renderci consapevoli e rispettosi delle esigenze dell’organismo, di cui siamo soliti turbare il naturale funzionamento.
È fondamentale prendere coscienza della necessità di ristabilire, tra l’altro in una realtà sempre più “virtuale”, un contatto sano e comunicativo, che contribuisca a rafforzare la connessione umana tra le persone e, di conseguenza, il loro benessere generale.
In questa missione siamo tutti coinvolti: un semplice gesto può apportare benefici non solo al nostro presente, ma sicuramente anche alla qualità di vita delle generazioni future.
Pertanto, ricordiamoci di non ridurre i nostri contatti a qualcosa che ritroviamo sotto forma di elenco telefonico alla voce “Rubrica” dei nostri cellulari, ma tentiamo di riportare in auge il vero significato del termine, che non può prescindere da un’amorevole rispetto della fisicità.
Un percorso di psicoterapia può essere un ottimo strumento di integrazione per imparare ad “accarezzare” i pensieri e diventare più consapevoli dell’universo relazionale.