La violenza invisibile nella coppia

Giacomo e Rosa sono fidanzati da dieci anni e conviventi da sei. Il loro rapporto non era mai stato particolarmente armonioso a causa di forti e frequenti divergenze su cose perlopiù futili, le quali avrebbero richiesto uno sforzo minimo (ma, a quanto pare, impossibile) per essere risolte. Generalmente, invece, le questioni si chiudevano con silenzio per qualche giorno, musi lunghi e piccole frecciatine reciproche. Quando Rosa era rimasta incinta, i due avevano pensato che quella poteva essere la migliore occasione della loro vita per ridurre le tensioni e trovare un nuovo equilibrio. Dopo la nascita del loro bambino, però, contro i loro buoni propositi, i litigi si erano fatti sempre più aspri, tanto che l’intimità era praticamente assente ed entrambi sentivano di essere arrivati al limite della sopportazione. L’accusa principale che Rosa muoveva a Giacomo era quella di non aiutarla nelle faccende domestiche e di preferire le sue passioni alla famiglia, mentre Giacomo rimproverava duramente Rosa per la sua eccessiva dedizione al lavoro e la sua pigrizia nell’uscire per una gita fuori porta. Per entrambi, anche se per motivi diversi, la loro casa era diventata una prigione, fonte di insoddisfazione e malumore costanti. Questo clima, tutt’altro che sereno, si rifletteva sul loro bambino, il quale negli ultimi mesi aveva iniziato a piangere frequentemente e a chiudersi in se stesso, rifiutando talvolta di mangiare quando a tavola erano presenti entrambi i genitori.

 

La storia che vi ho narrato contiene diversi punti importanti da analizzare. Innanzitutto, ciò che a mio avviso emerge con forza è il tema dell’aggressività. Quando parliamo di aggressività nella coppia, generalmente facciamo riferimento alla sua componente visibile, e in particolare alla violenza: troppo spesso, infatti, capita di sentire la notizia di un marito che picchia la moglie, di una donna sfigurata con l’acido dall’ex fidanzato, di una ragazza stuprata da un gruppo di coetanei o seguita e molestata da una persona da lei non corrisposta. Sebbene attualmente vi sia una maggior sensibilità sulla violenza di genere, anche a livello legale, ciò che occorre non dimenticare è che l’aggressività non ha solo questa faccia. Anzi, essa si può manifestare in modi molto più sottili e invisibili, generando effetti negativi non letali, ma comunque dannosi per la vita personale, domestica, psicologica e sociale. Giacomo e Rosa, ad esempio, non sono mai arrivati alle mani, ma ciò che caratterizza entrambi è una tendenza aggressiva che li porta a scagliarsi contro l’altro/a e a non rapportarsi invece in modo costruttivo. Le loro discussioni, infatti, ruotano attorno ad accuse e provocazioni e sembrano non giungere mai ad un accordo: ognuno vuole avere l’ultima parola, e, per questo, cerca di prevaricare sull’altro/a alzando i toni, parlando sopra e non ascoltando le ragioni e il punto di vista del partner. Le conseguenze nocive di queste forme di aggressività si riversano inevitabilmente nella vita di entrambi, rendendo Giacomo sempre più distante dalla famiglia e Rosa sempre più ossessionata dal suo lavoro; inoltre, i gravi effetti del loro comportamento stanno colpendo il figlio in un’età in cui l’equilibrio in famiglia è uno dei fattori di protezione maggiormente importanti per un corretto sviluppo emotivo e psicologico.

Nella situazione di Giacomo e Rosa, ciò che va necessariamente corretto è proprio la gestione dell’aggressività: occorre puntare sull’ascolto, sul dialogo, sulla comprensione, sull’empatia, in modo da mettersi e sentirsi alla pari dell’altro non prevaricandolo o impedendogli di esprimersi. In questa maniera, le divergenze potranno trovare un compromesso, o, addirittura, un nuovo e più sano punto di partenza. Molto spesso, infatti, si tendono a considerare queste situazioni spiacevoli come “punti di arrivo”, dimenticandosi però che non si finirà mai di conoscere le persone, né tantomeno se stessi: Rosa e Giacomo sentono di avere le pile scariche, ma non rivolgono mai lo sguardo alla propria interiorità. Non sono quasi mai disposti a chiedere scusa, ad ammettere i propri errori, a venirsi incontro. Se riuscissero a ragionare di più “verso” l’altro, e non “contro” l’altro, la loro coppia e la loro famiglia avrebbero ottime probabilità di rinascere e di rinforzarsi, ritrovando l’energia e l’entusiasmo per impegnarsi e progettare insieme.

In queste ultime righe, emerge un altro aspetto che ritengo fondamentale: l’orientare l’attenzione a se stessi. Lo si può fare accogliendo i propri difetti prima di puntare il dito contro quelli degli altri, ammettendo le proprie responsabilità prima di aspettarsi le scuse altrui, migliorando il proprio comportamento senza pretendere il cambiamento degli altri. Insomma, imparando ad “essere”: essere per se stessi ciò che ci si auspicherebbe da chi ci vive accanto. Molto spesso, infatti, tendiamo a proiettare sul partner ciò che noi non riusciamo a fare, le nostre mancanze, i nostri fallimenti, i nostri vuoti, provando magari una sorta di invidia o di rassegnata ammirazione. È esattamente in questo aspetto che, nel mio piccolo, cerco di sostenere le persone, aiutandole ad essere, a riscoprire la propria autenticità e le proprie naturali propensioni, in modo che una più completa e profonda conoscenza di sé possa di conseguenza riflettersi all’esterno illuminando tutti gli ambiti della vita.

 

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