Rallentare.
Voce del verbo … non riuscirci.
A quanto pare, non siamo più capaci di rispettare volontariamente i ritmi naturali e fisiologici del nostro organismo. Ci spingiamo al limite per essere sempre efficienti, rapidi, produttivi: le nostre energie mentali si esauriscono in fretta, ma non ci prendiamo il tempo necessario per ricaricare il cervello, che lentamente subisce danni. Il multi-tasking? Non è consigliato, le reti neurali sono strutturate per svolgere in maniera preferenziale una sola attività alla volta, soprattutto perché già una parte del nostro sistema psiche-corpo è costantemente impegnata nel mantenimento delle funzioni vitali. Non possiamo, perciò, sopportare distrazioni, pena il rallentamento, la perdita di concentrazione e la disattenzione intermittente, che ci portano a ritrovarci sfiniti a fine giornata, con mille cose iniziate e nessuna portata a termine.
La manipolazione dei social network
Facile capire come sia immediato convincerci di non aver reso abbastanza, con conseguente frustrazione e un’ansia da prestazione che ci spinge a fare ancora di più, concludendo ancora meno.
Un circolo vizioso difficile da interrompere: decidere di fermarsi e prendersi il giusto tempo per pensare o per ricaricare le batterie è vissuto non come un diritto, ma come un fallimento.
La coscienza, ormai condizionata dall’abitudine e dal pensiero comune, ci martella con sensi di colpa e sensazioni di non essere all’altezza delle aspettative sociali.
Senza accorgercene, stiamo facendo spazio a delle nuove “malattie mentali”: si riscontrano con maggior frequenza disturbi come l’iperattività, il deficit di attenzione, nonché la depressione e l’aggressività, il tutto condito da incompetenza emotiva e relazionale.
Soprattutto tra i giovani, i social network, che dovrebbero favorire l’approccio e la condivisione, utilizzano modalità informative in stile pubblicitario, ovvero basate su immagini e messaggi a rapida comparsa, schermate intermittenti o segnalazioni di breve durata, che lasciano subito spazio a quelle successive: una sorta di ricezione continua e affannosa di stimoli a ruota libera.
Questo non fa che abituare il cervello ad impulsi continui e rapidi per i quali necessita di mantenere un’attenzione soprasoglia, costantemente attivata e, a lungo andare, usurante.
In sostanza, siamo sempre di fretta anche quando in realtà non ci schiodiamo dalle nostre sedie, perché restando connessi via pc o smartphone siamo bombardati in maniera costante da avvisi lampo e da richiami insistenti e rapidi, studiati per far leva sui nostri istinti più profondi.
Di conseguenza, non abbiamo tempo per pensare, né per sostare qualche attimo nel presente senza la smania dell’orologio. Il nostro cervello, insomma, subisce una sorta di “riprogrammazione”, viene plasmato fin dalla giovane età in cui è più malleabile, in modo da essere allenato a gestire ed assorbire impulsi potenti e continui: ciò va a discapito di altre funzioni cerebrali, riducendo, ad esempio, l’intelligenza emotiva, la propriocezione intesa come consapevolezza del proprio corpo, le competenze relazionali.
Questa sorta di “manipolazione cerebrale”, che induce a fare propri i ritmi frenetici e stressanti tipici delle società economicamente più produttive, viene proposta e applicata consapevolmente dai grandi manager e gestori di siti web e dei social network: si dice che costoro, molto spesso, conoscendo gli effetti dannosi che una modalità così innaturale di operare provoca alle menti delle persone, si astengano dall’uso sistematico di dispositivi tecnologici o lo vietino ai propri figli.
La manipolazione dei social network
Una connessione virtuale onnipresente nelle nostre giornate, la condivisione minuto per minuto di qualsiasi attività anche privata, il progressivo aumento della spinta alla socializzazione digitale e il progresso tecnologico in continuo miglioramento ci espongono al rischio di rinunciare a noi stessi e al nostro tempo “reale” senza che ce ne rendiamo conto. Ci inducono ad una forma di dipendenza e alla perdita di alcune competenze umane utili e sane, che dimentichiamo di tenere attive: attaccare bottone, esporre i propri vissuti, descrivere le proprie emozioni, provare empatia, sviluppare una creatività personale che non segua necessariamente delle linee guida prestabilite sono solo alcuni esempi.
Ciò che è fondamentale, perciò, non è condannare la tecnologia o l’uso dei social, né sradicare da un giorno all’altro delle abitudini che ormai sono entrate a far parte del nostro quotidiano: semplicemente, si tratta di aumentare la consapevolezza degli effetti collaterali di un utilizzo eccessivo e, sulla base di questa, adottare degli accorgimenti che riducano il più possibile rischi ed inconvenienti, senza per questo farci rinunciare completamente a vantaggi e comfort. In sostanza, fare dei digiuni programmati dai vari device può essere strategia per tutelarci dai rischi connessi.