Per una coppia che decide di mettere su famiglia, la scoperta della sterilità di uno o di entrambi i partner è sempre motivo di forte turbamento. È come se la terra crollasse sotto i piedi, portando con sé i progetti, le aspettative, i sogni e la vita fino ad allora immaginata. L’impossibilità di avere figli biologici non comporta però la rinuncia definitiva a diventare una famiglia. Oltre alle tecniche di procreazione assistita si apre la possibilità di adottare un bambino.
Ovviamente alla base della scelta dell’adozione non ci deve essere né il desiderio di “fare beneficenza” (ovvero andare ad aiutare dei poveri bambini bisognosi che sono stati abbandonati), né il desiderio di avere un figlio per egoismo (ad esempio per poter ricoprire un ruolo sociale), né il desiderio riparativo di riempire il vuoto lasciato dal figlio non nato. In quest’ultimo caso, il bambino adottato si potrebbe sentire come colui che occupa il posto di un altro e che non ne ha uno per sé.
Intraprendere un percorso adottivo è una scelta impegnativa, ma fonte di grande gioia per quelle coppie che ritrovano la speranza di poter formare una propria famiglia. Ovviamente le sfide che questi genitori dovranno affrontare saranno diverse da quelle dei genitori con figli naturali. La prima di queste è la costruzione di una relazione parentale con un bambino con cui non si condivide un legame di sangue, costruzione che richiede l’impegno sia dei genitori, sia del figlio adottivo. La coppia genitoriale dovrà essere in grado di “com-prendere” (cioè di portare dentro e rendere familiare) e di valorizzare la differenza. Questa differenza che si manifesta nei diversi tratti somatici, nel colore della pelle, nella lingua e/o nel background culturale, è l’elemento centrale della famiglia adottiva su cui si deve costruire un senso comune di appartenenza familiare.
Un’altra sfida è il processo interiore di legittimazione di sé e del proprio coniuge come genitori a pieno titolo di quel figlio, una legittimazione che non deriva dal fatto di averlo generato o che non proviene solo dal Tribunale.
A ciò seguirà la costruzione di un patto adottivo, ovvero un peculiare incastro tra i bisogni, le aspettative e la storia del figlio e della coppia genitoriale, e la co-costruzione (spesso grazie all’aiuto di un terapeuta) di una verità narrabile, cioè il racconto che riguarda le origini del figlio.
Con l’avvento dell’adolescenza però tutto ciò che era stato conquistato viene messo in discussione, a partire dall’appartenenza al nucleo familiare. Il periodo adolescenziale è da sempre conosciuto come una tappa dello sviluppo caratterizzata da profondi cambiamenti, da importanti sfide, compiti evolutivi, e dall’allontanamento dalla famiglia verso il gruppo dei pari. Il processo più importante che l’adolescente dovrà mettere in atto è quello della separazione e individuazione. E se è impegnativo per l’adolescente con genitori naturali, per il ragazzo adottato lo è ancora di più perché sono due le famiglie da cui si deve separare e individuare: quella biologica e quella adottiva.
“A chi appartengo? Da chi mi devo separare per diventare adulto?” sono queste le domande che si pone il figlio e che lo portano da una parte a cercare di darsi il permesso di appartenere alla sua famiglia adottiva, e dall’altra a ricercare e a voler conoscere le proprie origini, la propria storia e la propria famiglia biologica. Ed è questa particolare tappa dello sviluppo che va a riaprire la ferita dell’abbandono, una ferita del passato che causa ancora molto dolore e che condiziona la vita dell’adolescente adottato, una ferita a cui cerca di trovare delle spiegazioni.
Molte ricerche hanno evidenziato i fattori di rischio alla base delle adozioni difficili o nel peggiore dei casi dei fallimenti adottivi. Tra questi troviamo l’impossibilità a riconoscersi come appartenenti legata al “sentirsi una seconda scelta” o “una scelta costretta” dovuta in parte all’incapacità dei genitori di creare uno spazio mentale per il bambino e per la relazione.
Inoltre, il primo incontro è un momento delicato carico di aspettative e di fantasie, non solo da parte dei genitori ma anche del bambino adottato, aspettative quasi sempre non soddisfatte. Altri fattori di rischio sono le relazioni conflittuali genitori-figlio che da costruttive diventano ostruttive, in quanto da strumenti evolutivi di costruzione dell’identità passano a strumento per fuggire dalle relazioni. L’adolescenza dell’adottato può venire considerata come attacco alla coppia genitoriale, in quanto il conflitto adolescenziale va a riattivare problemi del passato, negati o non riconosciuti, mettendo così a rischio l’equilibrio della coppia.
Infine, un fattore di rischio è rappresentato dall’adesione rigida di alcune famiglie a dei modelli ideali. Tale idealizzazione non permette al figlio di sviluppare la propria identità e di dire “io sono quello che sono, non quello che tu vorresti”.
In quest’ottica, quello che agli occhi dei genitori e del mondo appare come un fallimento dell’adozione può rappresentare per l’adolescente adottato l’occasione per essere autonomo, fare le proprie scelte e ricominciare daccapo.
Fondamentale può essere la figura del terapeuta per accompagnare e dare sostegno alle famiglie (genitori e figlio) nelle diverse tappe del processo adottivo.