Molti di voi sapranno cos’è la sindrome di Stoccolma, ma pochi conosceranno la sindrome di Lima.
Con la prima si fa riferimento alle situazioni in cui la vittima si affeziona al carnefice. E’ caratterizzata da una dipendenza psicologica e affettiva nei confronti di coloro che perpetrano abusi psicologici, verbali e fisici. Questa porta la persona a sottomettersi volontariamente al potere esercitato dal proprio carceriere. Spesso accade che durante le indagini, in seguito al crimine, le vittime che soffrono di questa sindrome difendano o trovino alibi per il loro aguzzino.
Con la seconda, invece, si fa riferimento all’altro lato della medaglia. Ciò significa che è il sequestratore ad affezionarsi alle sue vittime, facendo di tutto per proteggerle e mettendo in atto atteggiamenti di compassione. Si preoccupa del loro stato fisico ed emotivo, arrivando a sottostare ai loro desideri e necessità. Il rapitore può anche condividere informazioni personali, come per esempio racconti della propria infanzia.
Questa sindrome è stata denominata nel 1996, quando dei membri di un movimento rivoluzionario presero in ostaggio centinaia di diplomatici dell’ambasciata giapponese a Lima. Con il passare dei giorni, però, i sequestratori cominciarono a capire che cosa i politici stessero vivendo e iniziarono a liberarli.
Questo fenomeno può essere la conseguenza del senso di colpa o dell’empatia che si inizia a provare nei confronti della vittima.
In altri casi, si può sviluppare perché non si è soddisfatti del rapimento messo in atto o perché un gruppo di altre persone ha influenzato la decisione di un rapimento, esercitando pressione sul malfattore, che non si sente a suo agio in quel ruolo e non vuole trattare male l’ostaggio.
Non esistono delle cause specifiche ma si possono ipotizzare fattori ambientali, contestuali, psicologici e biografici. Ovviamente sono scarsi i dati che ci possono venire in aiuto, poiché poche persone che commettono questi atti sviluppano la sindrome.
Per avere un esempio più ordinario, nella cronaca si potrebbe sentire di un uomo o di una donna che si rinchiude in casa con degli ostaggi nel tentativo di un riscatto o di qualche altra pretesa. Questa azione non è in linea con il carattere dell’individuo ma è dettata dalla disperazione di aver perso il lavoro o di trovarsi in difficoltà finanziarie. Il più delle volte, tuttavia, chiedendo aiuto alle forze dell’ordine si riesce a far ragionare queste persone e a farle immedesimare con le vittime.
Se analizzata da un certo punto di vista, si può vedere anche come un fenomeno positivo, dal momento che può essere letta come una presa di coscienza da parte del carceriere della situazione in cui si ritrova.