Sono chiamati minimalisti i sostenitori della filosofia “less is better”, ovvero “meno è meglio”, e non hanno tutti i torti. L’idea che saremo felici solo quando conquisteremo i beni e i ruoli socialmente più riconosciuti e apprezzati è molto diffusa oggigiorno ed è all’origine dell’infelicità, anch’essa molto diffusa: le opinioni del minimalismo, invece, sono in questo senso più drastiche ma definite, perché considerano l’accumulo e il possesso come fonti di perenne insoddisfazione.
Come essere felici con poco
Ciò che è fondamentale per vivere una vita davvero piena e ricca è realizzarci in quello che ci piace di più: questo significa poter dedicare tempo ed energia alle nostre passioni, ai nostri interessi, a ciò che ci fa sentire bene nella nostra pelle, a prescindere dall’approvazione sociale.
Nei limiti del possibile, è bene preferire la qualità degli oggetti e della vita alla quantità, sia di beni che di impegni: riempire l’esistenza di obblighi ed impellenze frenetiche non favorisce né la distensione, né la riflessione ed il contatto con se stessi; piuttosto, impedisce di focalizzarsi sul presente, unico vero momento che può essere colto appieno.
Per comprendere quali siano le nostre reali ispirazioni e bisogni, dobbiamo imparare a connetterci con il corpo e con l’istinto e lasciare che si esprimano, abbandonandoci alla loro guida e distinguendo ciò che è effettivamente in linea con le nostre esigenze da quelle che sono solo richieste di sfogo della nostra mente per la pressione a cui è giornalmente sottoposta.
Una volta capito ciò che è fondamentale per la nostra esistenza, non dobbiamo far altro che eliminare tutto il resto, in modo da concentrarci sulla nostra realizzazione personale. Questa non dipende sicuramente dall’accumulo, né dall’imitazione di modelli prestabiliti: non ci sono, di fatto, delle regole universalmente condivisibili per la scelta, perché ciascuno ha esigenze e visioni del mondo diverse, pertanto adattarsi agli obiettivi altrui o a quello che ci viene imposto non può che essere deletereo e deviarci dal nostro percorso.
Togliere significa procedere mano a mano verso l’interno, verso il nucleo naturale e profondo della nostra essenza: come una scultura, il lavoro che dobbiamo fare su noi stessi è quello di levigare e lavorare il blocco di marmo che ci costituisce e far emergere da questo la forma in esso contenuta.
Ciò che siamo e che possiamo diventare è già dentro di noi, non occorre cercare la realizzazione da un’altra parte né procurarla riempiendo l’esterno per compensare ciò che non riusciamo a percepire dell’interno.
Occorre, quindi, prendere coscienza di chi siamo e del superfluo che abbiamo accumulato, riconoscendo la nostra attuale collocazione e ripartendo da lì per proseguire, questa volta alleggeriti, nella crescita: abbiamo già tutto ciò che serve, e arrivare ad esserne consapevoli e a convincercene ci porterà a smettere di rincorrere incessantemente un altrove privo di risposte.
La tendenza, spesso, è di far caso sempre e solo a ciò che ci manca, senza renderci conto di quanto già possediamo: ci illudiamo di poter attutire il senso di insoddisfazione cronico attraverso la ricerca di “qualcosa in più”, che puntualmente si rivela un’aggiunta superflua ed ingombrante.
Capire, invece, che il desiderio di costante miglioramento è insito nella natura dell’uomo e prescinde dall’accumulo e dalla quantità, favorendo piuttosto la cura e la dedizione a quanto già ci rappresenta, è la chiave per liberarsi dell’inutile e, in maniera quasi paradossale, per sentirsi più pieni ma senza affanno.
Prima di puntare a semplificare la nostra vita, sganciandola da relazioni, situazioni, oggetti, esperienze ormai non più necessarie, però, occorre essere coscienti di chi si è e accettare in tutto noi stessi: solo pronunciando un “sì” a ciò che siamo potremo evolvere, perché potremo capire a che punto ci troviamo e dove vogliamo arrivare, senza la necessità di paragoni poco costruttivi che amplificano il senso di inadeguatezza.
Come essere felici con poco: realizzare se stessi non un modello
Accettarsi significa capire che il nostro compito non è confermare o plasmarci su determinati ideali e modelli precostituiti, ma riuscire a corrispondere a quanto sentiamo come positivo in noi, evitando di attribuire un giudizio su cosa è giusto e cosa è sbagliato e tollerando le nostre mancanze senza sfuggire loro, perché è solo accogliendole che eviteranno di gravare come fardelli o di ripresentarsi in futuro.
Eliminare ciò che “ingombra”, tanto in senso fisico quanto mentale, permette un cambiamento nella nostra capacità di riflettere e di comprendere quanto ci circonda, perché consente ai pensieri di fluire più liberamente. Favorisce, inoltre, un distacco dal passato e dal rimuginio costante rispetto a ciò che non c’è più, garantendo un risparmio di energie che possono essere investite in qualcosa di più consono e meno frustrante.
Quello che siamo non si incarna in ciò che facciamo o in quanto possediamo, bensì in come ci approcciamo alla nostra realtà: scegliere la qualità significa proprio rendere prioritario il contenuto, per capire che l’essenziale consiste nel poco e ci segue ovunque ci spostiamo, perché è un bagaglio che ci accompagna nel corpo e nello spirito.
Infine, porsi le domande giuste può essere efficace per garantirci un’immediatezza nella comprensione del nostro sentire, spesso ignorato: che cosa è davvero importante? Di cosa non posso fare a meno? Cosa mi rende felice? Che cosa possiede un impatto determinante e positivo sulla mia vita?
Ovviamente, la sincerità è d’obbligo, e nonostante inizialmente possa sembrare faticoso ammettere alcune verità, sicuramente potremmo trarre beneficio da questo piccolo ma onesto sforzo iniziale.