Giocando con giocondo – Psicologia e Gelotologia

Giocondo è il nome che ho dato ad un topo di peluche che dorme dentro ad un cassetto della mia scrivania. Mi piace Giocondo perché fa rima con cambiare il mondo. Ogni tanto lo risveglio dal suo letargo quando ho bisogno del suo aiuto. Ne ho bisogno io, ma anche la persona che ho davanti in terapia. Di solito dico che sto per presentare qualcuno di molto simpatico, che ha una sua personalissima visione delle cose ma adesso sta dormendo nella sua cuccetta e dobbiamo svegliarlo assieme.

 

La Gelotologia

Naturalmente, informo la persona che questo qualcuno si chiama Giocondo. Cerco di creare un po’ di attesa, di curiosità e la presenza in studio del mio cane Nilo che con tutti si presenta con una leccatina di benvenuto mi aiuta a far si che la persona possa aspettarsi qualcosa di poco convenzionale. Apro lentamente il cassetto, infilo la mano dentro al peluche, chiamandolo assieme e piano piano faccio spuntare le orecchie sulla scrivania fino a portarmelo in braccio. Io divento la sua voce, a volte tipo topo Gigio altre come mi viene a seconda delle emozioni o di ciò che mi riferisce la persona. Una voce dolce e accomodante per i sensi di colpa, una punzecchiante quando la persona “deve alzare il culo” se vuole stare bene, un tono di grande esagerato stupore per comunicare “non sei l’unico al mondo, pensi che succeda solo a te?” La strategia suscita ilarità, buon umore e viene molto apprezzata. Finora nessuno l’ha rifiutata, non escludo però che ciò possa avvenire.

Un giovane donna insegnante presso un asilo si sente spesso il “brutto anatroccolo” nei vari lavori che ha fatto. Coi bambini a volte si sente troppo rigida e autoritaria. Propongo Giocondo e riflettiamo sul fatto che si può passare dei messaggi, delle regole ai bambini in modo accattivante, piacevole per loro e anche per l’insegnate che evita così di sbraitare e dannarsi l’anima. Questa è la gelotologia. Non vi dico il successo dell’insegnante nel creare nella sua classe una “mascotte” di peluche attraverso la quale la maestra parla. A tutto ciò abbiamo aggiunto altre modalità per rendere il lavoro piacevole, es. creare delle ritualità, dei momenti in cui la mascotte, da i suoi ordini, sculture di palloncini ecc… Questi sono stati alcuni stratagemmi per aiutare l’insegnante ad uscire dalla gabbia del brutto anatroccolo. In un’altra situazione un po’ più tosta ho svegliato Giocondo per farlo parlare con Mirta la voce che un trentenne sente dentro di sé. E’ una voce autoritaria, denigratoria, svalutativa. Io, Giocondo, la persona in terapia e Mirta ci facciamo delle belle chiacchierate. Non è sufficiente questo naturalmente, bisognerebbe lavorare su tutta la famiglia, sulle capacità relazionali, sulle potenzialità lavorative ecc…Un’altra cosa che faccio con questo trentenne è mettere le Quattro Stagioni di Vivaldi e ballare assieme a lui. Balliamo la forza, la dolcezza, l’impeto. E’ abbastanza rigido ma piano piano si lascia andare.

 

Gelotologia e psicologia

A volte dico delle frasi a gran voce come ho visto fare da Patch Adams e lo invito a fare lo stesso: sono forte! Sono un eroe! Sono bello! Sono bravo! Noto che esce dalla seduta alleggerito e ritorna la volta successiva col sorriso sapendo che potrebbe succedere qualche stranezza con me. Mi piacerebbe tanto avere come alleata la sua famiglia ma ho la sensazione che mi hanno scaricato il barile mettendosi un po’ a posto la coscienza ed evitando cosi di mettersi in discussione per un vero cambiamento. I messaggi che passano in questo nucleo famigliare sono o sei al top o sei uno sfigato, non esiste la via di mezzo dove ognuno ha le sue peculiarità e tutti siamo diversamente abili l’uno rispetto ad un altro.

Un film illuminante che mi ha dato la chiave di lettura per affrontare queste situazioni di persone con le voci, pensieri deliranti o altre cose simili è stato Don Juon De Marco Maestro d’Amore.

Don Juan De Marco maestro d’amore (1995) è diretto da Jeremy Leven, con Johnny Depp, Marlon Brando e Faye Dunaway: il personaggio principale è liberamente ispirato al protagonista del poema “Don Juan” di George Byron. Un giovane Don Juan (Don Giovanni), con tanto di maschera, cappello e mantello, sfoggia le sue doti di amatore e vuole suicidarsi buttandosi da un grattacielo di New Jork per essere stato lasciato dall’amata: viene salvato e preso in cura dal dott. Mickler che è alla sua ultima settimana prima di andare in pensione. Lo psichiatra si lascia coinvolgere in un romantico e ambiguo viaggio nel passato (immaginario?) del ragazzo e riscopre la gioia e la spensieratezza dell’amore con sua moglie. Apprende così della sua giovinezza in Messico, degli oltre mille amori di Don Juan, della morte del padre perito in duello e della madre che per il lutto si è chiusa in convento. La realtà sembra essere assai diversa e il giovane viene riportato alla ragione sia con l’aiuto farmacologico ma soprattutto attraverso l’entrata in scena nei suoi film mentali del terapeuta che cambia così irrevocabilmente in positivo anche la sua di vita.

 

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