Il rischio di burn-out nel veterinario – Prevenzione e strategie di supporto psicologico

Probabilmente, se chiedessi a qualcuno di immaginare quali siano i lavori più stressanti, nominerebbe incarichi di alto livello e responsabilità, come quelli del manager, del medico o dell’avvocato. Qualcun altro, maggiormente sensibile, potrebbe invece sottolineare la difficoltà di tutte quelle professioni che richiedono un contatto diretto con il pubblico, come quella dell’insegnante, dell’educatore o dell’infermiere. Quasi mai, però, si pensa ad una figura che invece è sottoposta ad un notevole carico di ansia e tensione: il veterinario.

 

Il rischio di burn-out nel veterinario

Esso, infatti, dovendosi occupare della salute dei suoi pazienti a quattro zampe, deve essere sempre concentrato, preciso e aggiornato sulle scoperte più recenti nel suo ambito, proprio come un medico; inoltre, la sua professione presenta delle peculiarità che non si ritrovano in altre occupazioni e che rendono il suo ruolo estremamente difficile e delicato.
Fra un animale domestico e il suo proprietario, infatti, si instaura spesso una relazione di attaccamento molto forte, simile a quella che lega una coppia di amici. Il legame fra essere umano e pet, però, è in genere sottovalutato e ritenuto poco importante dalla società, che lo vede di gran lunga inferiore rispetto a quello che unisce due persone; così, quando il proprio compagno a quattro zampe si ammala o muore, il suo proprietario, per quanto sperimenti una sofferenza intensa, spesso si sente troppo in imbarazzo per confidarsi con qualcuno, ritenendo che il suo non sia un vero e proprio lutto. È proprio il veterinario, allora, che diventa l’unico depositario di ansie e dolori, soprattutto nei casi di diagnosi infauste e di eventuale soppressione dell’animale. Essendo infatti l’addetto alla salute della bestiola, il veterinario viene spesso visto come l’unico al quale ci si può rivolgere in questi casi, esponendo dubbi, angosce e tristezza. Ciò, però, richiede da parte sua notevoli abilità di empatia, ascolto e supporto emotivo, tutte competenze che esulano dai compiti prettamente tecnici di questo professionista e che rendono il suo lavoro più complesso e pesante. Può inoltre essere molto complicato riuscire a mantenere l’equilibrio fra un atteggiamento comprensivo e un sano distacco, necessario per non finire travolti dall’emotività del padrone; è normale, infatti, che il medico possa sentirsi molto coinvolto dal disagio del cliente, così come da quello dell’animale, e provi quindi le sue stesse sensazioni di tristezza e sconforto.

Inoltre, il veterinario si trova spesso a gestire situazioni complesse che possono generare in lui sentimenti di rabbia e frustrazione: si pensi ad esempio al caso in cui un animale soffra al punto da rendere necessaria l’eutanasia, ma il proprietario non sia disposto a lasciarlo andare o, viceversa, a quello in cui sarebbe ancora possibile la cura ma ciò richiede costi troppo elevati per la famiglia, che opta quindi per la soppressione. In queste eventualità, il veterinario si ritrova a doversi occupare sia delle esigenze del cucciolo che di quelle del suo padrone, esigenze che però possono essere in contrasto fra loro; ne consegue, per il professionista, un vissuto di impotenza e fallimento, dato dalla consapevolezza di non poter fare il meglio per l’animale.
Quanto illustrato può a volte sconfinare nel burn out, una condizione di grave stress e tensione lavorativa, che porta a sensazioni di stanchezza cronica, depressione ed esaurimento emotivo. Questa condizione è molto pericolosa per chi la vive, impedendo di lavorare con serenità e concentrazione e, conseguentemente, abbassando la qualità del proprio operato. Se non la si affronta, inoltre, una situazione del genere può portare ad essere sempre più freddi e distaccati nei confronti del pubblico e quindi, nel caso del veterinario, incapaci di fornire quel supporto emotivo che, come già detto, è indispensabile nel caso di perdita o malattia grave del pet; come se non bastasse, se non affrontato il burn out predispone a comportamenti disfunzionali di gestione dello stress.

L’intervento di uno psicoterapeuta è la soluzione ottimale, in questo caso, per aiutare il veterinario ad affrontare lo stress emotivo collegato al suo lavoro e ad attenuare il forte impatto che ciò può generare sulla sua vita. L’ideale sarebbe però rivolgersi ad un professionista prima di sperimentare una condizione di burn out, così da non trovarsi mai in una situazione di tale pericolosità. Inoltre, per ridurre la tensione e la difficoltà connesse a questa professione può essere utile consigliare un supporto psicologico ai proprietari dell’animale, oltre che a sé stessi, per essere così sostenuti ed accompagnati nel processo di elaborazione del lutto da una figura formata e preparata proprio per questo.
A tal proposito, ricordo che ho scritto un articolo in merito, reperibile al seguente link: http://damianopellizzari.it/2019/07/09/come-superare-il-lutto-per-la-perdita-di-un-animale-domestico-il-ponte-dellarcobaleno/.

 

 

 

 

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