In collaborazione con Giorgia Zanlorenzi
Carl Marx disse, rispetto alla religione: “è l’oppio dei popoli”.
Chiaramente la sua voleva essere una critica alla religione, eppure, negli ultimi anni, la letteratura medica e psicologica esplora la relazione tra le dimensioni religiose/spirituali e la salute, o meglio, il benessere.
In un certo senso, oggi, potremmo dire che Marx aveva ragione: la dimensione religiosa e spirituale nelle persone sembra mitigare la loro percezione di eventi negativi e traumatici, persino di possibili malattie, così come un oppiaceo è in grado di alleviare il dolore.
In questo articolo parleremo di spiritualità e religiosità intendendole come un semplice “Credere a qualcosa di più grande” sia esso Dio o altro, immanente o trascendente, con una progettualità pensata oppure no.
Recenti studi hanno dimostrato che la spiritualità e/o religiosità sembrerebbero giocare un ruolo importante nella gestione della malattia da parte dei pazienti ospedalizzati. I soggetti con bassa spiritualità e religiosità risultano maggiormente afflitti dalla scoperta della malattia rispetto a soggetti più spirituali o religiosi. Inoltre, sembrerebbe emergere anche una relazione tra religiosità e recupero post-operatorio, con un effetto positivo sulla gestione dello stress.
Coloro che hanno un alto livello di spiritualità avrebbero anche un orientamento ottimistico della vita, un’alta resistenza allo stress, un grande supporto sociale e un basso livello di ansia. Insomma, un livello superiore di benessere psicologico o di soddisfazione per la propria vita.
Perché accade questo?
Sembrerebbe che, a fronte di un evento stressante le persone che hanno fede in Dio adottino strategie di coping (ossia le strategie di riduzione dello stress) aggiuntive rispetto alle altre persone. Per esempio la preghiera; oppure, il cossiddetto meaning-based coping. Questa strategia di riduzione dello stress consiste nell’attribuire un significato più grande agli eventi dolorosi dell’esistenza e permette così di ridefinire i propri valori, chiarire quali sono le proprie priorità e conseguire importanti mete. Questo può aumentare la sofferenza nel breve periodo (quando è difficile conciliare le proprie attese di fede con la sofferenza indotta per esempio da un lutto) ma produce livelli di benessere maggiori nel lungo periodo.
Tutto parte da una valutazione spirituale. Le valutazioni spirituali rappresentano un primo tentativo di dare un senso agli eventi in base a quelle che sono le proprie credenze religiose. Questo primo tentativo aiuta le persone a ridurre il livello iniziale di stress, permettendogli di mettere in atto altri comportamenti di coping.
Pargament (1997) parla infatti di coping religioso, utilizzato dalle persone per valutare le cause degli eventi stressanti, per definirli e per affrontarli.
Sono stati identificati tre diversi tipi di comportamenti di coping religioso: il comportamento religioso organizzativo, la religione privata e le pratiche non tradizionali.
Il comportamento religioso organizzativo si riferisce al coinvolgimento delle persone in una istituzione religiosa pubblica e formale ed include quelle pratiche come l’attività volontaria nei servizi di assistenza e di culto. La religione privata include comportamenti come la preghiera e lo studio delle sacre scritture. Ed infine, le pratiche non tradizionali che rappresentano l’espressione della spiritualità comprendono la contemplazione e la meditazione.
Tutte e tre queste strategie sembrano avere risvolti positivi sul benessere delle persone.
Altro aspetto rilevante è quello dell’ attaccamento a Dio. Nell’ambito della teoria dell’attaccamento, si potrebbe dire che la figura divina costituisca un’esaltazione della figura di attaccamento (Granqvist e Kirkpatrick, 2008), ovvero un luogo sicuro in cui depositare speranze, paure, desideri, problemi con la sensazione che si verrà accolti, ascoltati, consolati.
Per concludere, possiamo dire che la religione/spiritualità aiuta a collocare un evento dentro “un più grande disegno divino” e questo fa sì che l’accaduto acquisti un nuovo significato e non sia più visto come dovuto al caso. In questo modo eventi anche drammatici sono adattati al proprio sistema di credenze ed accettati con
più facilità.
La vita non è costituita solo da amore, gioia e felicità ma anche da perdite, malattie, rabbia, odio, sfide: solo il riuscire a viverle, ad affrontarle e a superarle ci permette di diventare più sani e felici. Come scrisse Hemingway (1929): “La vita ci spezza tutti quanti, ma solo alcuni diventano più forti proprio nel punto in cui sono stati spezzati”.
BIBLIOGRAFIA
Carmody J., Reed G., Kristeller J., Merriam P. (2008). Mindfulness, spirituality, and health-related symptoms. Journal of Psychosomatic Research, 64, 393-403.
Donini, D. G. Resilienza: trasformare gli eventi. Recuperato da http://www. iscrainstitute. com/wp-content/uploads/downloads/2013/02/tesi-SOLDA-2012. pdf.
Granqvist P, Kirkpatrick LA (2008), Attaccamento e religione. In J Cassidy e PR Shaver (a cura di), Manuale dell’attaccamento. Teoria, ricerca e applicazioni cliniche – Seconda edizione. Tr. it. Roma: Giovanni Fioriti, 2010.
Laudadio, F. J. F. P. A. (2003). LA FEDE COME DIMENSIONE CENTRALE DEL BENESSERE PSICOLOGICO INDIVIDUALE. Psychologist, 58, 36-52.
Pace, U., Cacioppo, M., & Schimmenti, A. (2011). Spiritualità, religiosità e attaccamento nell’adattamento psicologico in adolescenza. Infanzia e adolescenza, 10, 169-180.
Pareti, G. (2016). È possibile una scienza della spiritualità? Proposte per la soluzione di un conflitto. Giornale italiano di psicologia, 43(4), 829-854.
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